domenica 11 settembre 2011

Oggi è l' 11 settembre, una data che ha cambiato il mondo.

Una catastrofe che ha coninvolto non solo le vittime e le loro famiglie ma tutti noi che ci siamo stretti intorno al loro immenso dolore per quella ferita inferta dalla pazzia umana.
In onore di chi ha lavorato e perso la vita nel compimento del proprio dovere e di chi continua sprezzante del pericolo a vegliare su di noi vi lascio un piccolo racconto.
Assolutamente un inezia, una bricciola nel mare di ciò che si potrebbe fare, ma il mio modo di ricordare e dire grazie a tutti loro.

                                                               NICHI
Nichi  passeggiava lentamente lungo il viale, sentiva il morbido tappeto di foglie scricchiolare sotto i  piedi, l’aria era tiepida e una leggera nebbia lo avvolgeva, tutto creava l’atmosfera giusta per pensare tranquillamente al passato. Ritornò col pensiero a quando da ragazzino, suo padre lo portava nelle fiere, per insegnargli l’arte del molatore, risentiva distintamente il suono acuto della lama che toccava la fresa e l’amore con cui suo padre lo faceva
A quel tempo, appena libero dalla scuola, correva a bagnarsi in quello stesso mare che per un certo periodo della sua vita avrebbe odiato. Da adolescente, infatti, non sopportava ne lui ne quell’agglomerato di case, arroccate su uno spuntone di roccia che puzzavano di pesce e sudore. Così una mattina, ricevuta la cartolina di leva era partito verso un nuovo destino, certo di non tornare più.
Arrivato a destinazione, mentre i suoi compagni cercavano di vivere intensamente l’anno del Signor si come una parentesi di svago, Nichi cercava un lavoro per poter restare nella metropoli.
 L‘incontro con Violetta, una fanciulla dai capelli corvini e gli occhi di fuoco gli fù fatale e di li a poco si ritrovò a cercar casa insieme a lei.
Una sera passeggiando per le vie del centro, un bando di concorso per Vigile del fuoco attirò la sua attenzione, ed anche se non sentiva la vocazione dell’eroe prese la decisione e in breve tempo indossò la divisa rosso fuoco. 
Una notte, mentra era di turno la sirena suonò e in un amen si ritrovò catapultato nel centro di un enorme incendio.
 Un edificio civile aveva preso fuoco e le fiamme lambivano i piani più alti.
Una sagoma attirò la sua attenzione, un bambino stava a cavalcioni di una finestra e guardava con aria attonita nel vuoto.
Senza pensarci Nichi si lanciò all’interno dell’edificio, i polmoni bruciavano e gli occhi offesi dal fumo acre lacrimavano senza sosta. Indossata la maschera cominciò la salita, in breve gli fu accanto, ma nell’attimo in cui stava per afferrarlo, la soletta, resa instabile dal calore, cedette e Nichi si ritrovò sepolto sotto un cumolo di detriti.
Respirava a malapena, sapeva che se non avesse reagito, sarebbe stata la fine. Socchiuse gli occhi e vide suo padre, fermo sulla soglia di casa mentre scuoteva la testa e lo chiamava. Li riaprì a fatica, il suo sguardo incrociò quello del bambino. Chiamò a raccolta le forze, scalò il piano che li divideva con la forza della disperazione, lo raggiunse e solo quando sentì il bambino appiccicarglisi addosso come una seconda pelle e le sue unghie conficcarsi nella carne capì di avercela fatta.
Di li a poco erano in ospedale, entrò col piccolo in braccio.
Un uomo gli corse incontro piangendo e ringraziandolo per avergli riportato il figlio.
Nichi sopraffatto dalla stanchezza svenne, si risvegliò con accanto la sua amata. Trilli, così la chiamava, per il suo modo di fare gaio e disinvolto, era pallida e sofferente, cominciò a parlare scandendo le parole.
 “Amore mio” disse, “ sono in cinta ed ho rischiato di perdere nostro figlio. Un medico, quello fermo sulla porta, mi ha aiutato e, scandì bene le parole quasi a volersene convincere, mi basterà un po di riposo per renderti padre”.
Nichi si sentì in paradiso, guardò un raggio di sole che illuminava la vetrata e vi vide riflessa l’immagine di un uomo che teneva un bambino per mano, era lo stesso uomo che lo aveva ricevuto con enfasi all’ingresso, solo aveva un che di diverso, ora vestiva un camice dell’ospedale con la targhetta Medico. L’uomo entrò sorridendo e si rivolse a Violetta chiedendole come si sentisse, i due uomini si guardarono per un attimo che parve interminabile, nel profondo della loro anima sapevano che il destino li aveva fatti incontrare per pagare un debito.
Si abbracciarono come due vecchi amici, poi Nichi si addormentò, avrebbe avuto tempo per parlare, per raccontare per vivere…ancora ed ancora.   

                                                                "vis et honor""
 

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