Quante volte ci nascondiamo dietro mille scuse create dalla nostra mente?
Quante volte siamo noi stessi a costruire i muri più insormontabili?
Per capire poi, solo dopo tanto tempo e tanta stanchezza che se desideri veramente qualcosa troverai una strada, mentre se non la desideri davvero troverai una scusa...
In questi giorni mi è capitato di imbattermi in uno scrittore argentino i cui racconti mi hanno incantato
Julio Florencio Cortázar nasce a Bruxelles il 26 agosto 1914 e muore a Parigi il 12 febbraio 1984 paragonato per le sue liriche a Cechov e Poe. I suoi racconti non seguono sempre una linearità temporale ed i personaggi esprimono una psicologia profonda. Un mirabile esempio della sua arte è La fine del gioco, scritto nel 1954, di cui cito un piccolo brano.
Pagina 5
Continuità dei parchi Aveva incominciato a leggere il romanzo alcuni giorni prima. Lo abbandonò per affari urgenti, tornò ad aprirlo mentre rientrava in treno al podere; si lasciava interessare lentamente dalla trama, dal disegno dei personaggi. Quella sera, dopo aver scritto una lettera al suo procuratore e aver discusso con il fattore una questione di mezzadria, tornò al libro nella tranquillità dello studio che si apriva sul parco di roveri. Sdraiato nella poltrona preferita, dando le spalle alla porta che lo avrebbe infastidito come una irritante possibilità d'intrusioni, lasciò che la mano sinistra carezzasse piú volte il velluto verde e si mise a leggere gli ultimi capitoli. La sua memoria riteneva senza sforzo il nome e le immagini dei protagonisti; l'illusione romanzesca lo conquistò quasi subito. Godeva del piacere quasi perverso di staccarsi di riga in riga da ciò che lo attorniava, e di sentire al tempo stesso che la testa riposava comodamente sul velluto dell'alto schienale, che le sigarette erano sempre a portata di mano, che al di là delle vetrate danzava l'aria del crepuscolo sotto i roveri. Di parola in parola, assorto nel sordido dilemma degli eroi, lasciandosi andare verso le immagini che si componevano e acquistavano colore e movimento, fu testimone dell'ultimo incontro nella capanna del bosco. Prima entrava la donna, guardinga; adesso arrivava l'amante, la faccia ferita dalle sferzate di un ramo. Ammirevolmente lei tamponava il sangue con i suoi baci, ma lui rifiutava le carezze, non era venuto per ripetere le cerimonie di una passione segreta, protetta da un mondo di foglie secche e di sentieri furtivi. Il pugnale si intiepidiva contro il suo petto, e sotto pulsava acquattata la libertà. Un dialogo ansioso scorreva per le pagine come un ruscello di serpi, e si sentiva che tutto era già deciso da sempre. Persino quelle carezze che avviluppavano il corpo dell'amante quasi volessero trattenerlo e dissuaderlo, disegnavano abominevolmente la figura di un altro corpo che era necessario distruggere. Niente era stato dimenticato: alibi, circostanze, possibili errori. A partire da quell'ora, a ciascun istante era minuziosamente fissato il suo impiego. Il duplice spietato riepilogo si interrompeva appena per permettere che una mano carezzasse una gota. Cominciava a scendere la notte. Senza neppure piú guardarsi, legati strettamente al compito che li aspettava, si separarono sulla porta della capanna. Lei doveva proseguire per il sentiero che andava verso nord. Dal sentiero opposto lui si voltò un istante per vederla correre con i capelli sciolti. Corse anche lui, proteggendosi contro gli alberi e le siepi finché distinse nella bruma malva del crepuscolo il viale che conduceva alla casa. I cani non dovevano latrare, e non latrarono. Il fattore non doveva esserci a quell'ora, e non c'era. Salí i tre scalini del porticato ed entrò. Dal sangue che gli galoppava nelle orecchie gli giungevano le parole della donna: prima una sala turchina, poi una galleria, una scala con tappeto. Al piano superiore, due porte. Nessuno nella prima camera, nessuno nella seconda. La porta del salotto, e allora il pugnale in mano, la luce delle vetrate, l'alto schienale di una poltrona di velluto verde, la testa dell'uomo nella poltrona che sta leggendo un romanzo.
"Laneveè una precipitazione atmosferica sotto forma diacquaghiacciatacristallinache consiste in una moltitudine di minuscoli cristalli di ghiaccio tutti aventi di base una formaesagonale, ma ognuno di tipo diverso e spesso aggregati tra loro in maniera casuale. Dal momento che è composta da piccole parti grezze ha una struttura aperta ed è quindi soffice, a meno che non sia pigiata dalla pressione esterna."
La neve si forma nell'altaatmosfera, quando ilvapore acqueo, a temperatura inferiore a 0 °Cbrinaattorno aicosiddettigermi cristallinipassando dallostato gassosoa quellosolidoformando cristalli di ghiaccio i quali cominciano a cadere verso il suolo quando il loropesosupera la spinta contraria digalleggiamentonell'aria e raggiungono il terreno senza fondersi. Questo accade quando la temperatura al suolo è in genere minore di 2 °C (in condizioni di umidità bassa è possibile avere fiocchi al suolo anche a temperature lievemente superiori) e negli strati intermedi non esistono temperature superiori a 0 °C dove la neve può fondere e diventareacquaneveopioggia.